Parlare in rete di procreazione assistita

L’infertilità ha un enorme impatto emotivo sul vissuto delle persone accompagnato da un profondo senso di colpevolezza e negazione. Secondo uno studio pubblicato sull’Hasting Centre Report, il 50% delle donne e il 15% degli uomini considera l’infertilità l’evento più grave della loro vita. Le donne infertili in particolare presentano un quadro psicologico sovrapponibile alle pazienti affette da patologie come il cancro.
Spesso lo spazio digitale consente di uscire dalla solitudine, offre un’intimità anonima che facilita l’espressione e la condivisione del vissuto di infertilità. Da questa esigenza, con il supporto non condizionante di IBSA PMA, nasce ‘Parole fertili’ (www.parolefertili.it), un nuovo progetto di storytelling, dedicato alla condivisione di storie sulla ricerca di un figlio. Uno spazio online in cui raccontarsi senza filtri, aperto a tutte le storie, anche le più difficili, anche quelle di chi, senza figli, cerca altre modalità di reinventarsi fertile. Molte donne scrivono, ma molte di più sono quelle che leggono le storie di altre. Al momento tra le nostre storie il grande assente è l’uomo, intrappolato in un silenzio che nasce dal rifiuto del fallimento, che spesso porta anche al rifiuto della diagnosi. La sfida che le storie pubblicate finora ci lanciano è quella di trasformare la PMA in un percorso più personalizzato e meno artificiale. Oggi è infatti vissuto con un senso di grande estraneità e molta sofferenza, anche quando l’esito è positivo.
Dal 2004, anno di promulgazione della legge 40, molti passi avanti sono stati fatti nel nostro Paese e oggi molte sono le strutture che possono offrire terapie sempre più complesse e tecnologicamente avanzate, e con l’ingresso della procreazione medicalmente assistita (PMA) nei LEA, l’infertilità è riconosciuta a tutti gli effetti come una malattia. I limiti di età e il di numero di tentativi (cicli di PMA) sono però ad oggi trattati solo in termini di allocazione delle risorse e di scelte di politica sanitaria. Il SSN pone dei limiti alle prestazioni di PMA, ma l’esperienza clinica ci dice che ciò che non è avvenuto in 3 cicli può succedere in quelli successivi e, ovviamente, più tentativi corrispondono a maggiori possibilità di successo. Gli studi che hanno portato a limitare a tre i cicli della PMA sono stati smentiti da altri dati di letteratura (NICE 2013). Alla coppia, bisognerebbe dare la possibilità di tentare protocolli diversi e terapie diverse, per aumentare le motivazioni a ripetere i cicli di PMA, conclude Borini».
Ma si evidenzia anche un altro ostacolo, ancora più subdolo: la paura, lo stress, l’essere messi ogni volta di fronte alle proprie difficoltà porta quasi il 50% delle coppie ad abbandonare il percorso di procreazione medicalmente assistita prima del termine dei cicli previsti.
E’ un comportamento osservato in diversi Paesi e che sta portando le maggiori società scientifiche, l’ESHRE European Society of Human Reproduction and Embriology, l’ASRM, American Society for Reproductive Medicine, a studiare fattori correttivi per migliorare l’adesione dei pazienti al trattamento.
La difficoltà riproduttiva ha molte sfaccettature: ormonali, meccaniche, infettive e immunitarie. Ad oggi le terapie per l’infertilità sono sempre più personalizzate. Gli ormoni, tanto spesso demonizzati e associati erroneamente a conseguenze negative per la salute non causano certamente tumori ma, in taluni casi addirittura li prevengono. La procreazione medicalmente assistita (PMA) rappresenta un’area delicata e la richiesta delle donne è sempre più rivolta a prodotti efficaci e, allo stesso tempo naturali e ben tollerati.

Nel video:

  • Cristina CENCI
    Antropologa Fondatrice del Center for Digital Health Humanities
  • Rossella NAPPI
    Responsabile Centro Procreazione Assistita Ospedale San Matteo di Pavia
  • Giulia SCARAVELLI
    Responsabile del Registro Nazionale Procreazione Medicalmente Assistita
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