Terapie contro i tumori e il diabete possono provocare malattie cardiache

Lo scompenso cardiaco uccide più dei tumori, eppure è una condizione ancora oggi sottovalutata. Oggi la metà dei pazienti con scompenso cardiaco muore entro cinque anni dalla diagnosi. E a volte lo scompenso cardiaco è provocato proprio dai farmaci utilizzati contro i tumori. È il messaggio lanciato dai cardiologi riuniti al congresso dal titolo “From risk factors to target organ damage: how to diagnose and how to treat”, organizzato a Salonicco (Grecia) dal Dipartimento di Cardiologia dell’Ospedale Asklepeion di Atene, con il supporto della Fondazione Internazionale Menarini e in collaborazione con l’Università Aristotele di Salonicco, la Società Ellenica di Cardiologia e la Società Ellenica di Ipertensione.
Lo scompenso cardiaco, cioè l’incapacità del cuore di fornire sangue in quantità adeguata rispetto all’effettiva richiesta dell’organismo, è riconducibile a varie cause, per esempio la malattia delle arterie coronariche, l’affaticamento del cuore dovuto a ipertensione in atto da tempo, un’anomalia delle valvole cardiache, un’infezione del muscolo cardiaco, ma anche per l’utilizzo di alcuni farmaci. Tra questi ultimi l’attenzione del cardiologi va in particolare ai farmaci utilizzati contro i tumori.
«Purtroppo un trattamento anticancro può soltanto modificare la causa di morte, se salva dal tumore ma provoca uno scompenso cardiaco» avverte Giuseppe Rosano, uno dei massimi esperti italiani, Docente di Cardiologia alla St. Georges University di Londra.
«E non si tratta soltanto delle vecchie terapie, come la chemioterapia: anche trattamenti più recenti, considerati meno cardiotossici perché più specifici, hanno in una buona proporzione dei pazienti effetti collaterali che determinano scompenso cardiaco. E’ il caso dei farmaci antineoplastici che inibiscono la tirosin-chinasi, che pur avendo migliorato la sopravvivenza nei pazienti con cancro, sono appunto associati a effetti avversi cardiovascolari, come disfunzione del ventricolo sinistro, insufficienza cardiaca, ipertensione, tromboembolia e scompenso cardiaco. Come intervenire? Rendendo più severi i criteri di safety che vengono utilizzati per i farmaci neoplastici, oggi non così restrittivi perché resiste la vecchia idea che siano farmaci necessari per contrastare una patologia a prognosi infausta, senza considerare che possono indurre una patologia che è ancora più severa della neoplasia».
Un’altra categoria di pazienti a maggior rischio per scompenso cardiaco sono le persone con diabete. Anche per i farmaci che devono assumere. «I pazienti diabetici hanno un rischio di scompenso molto più alto rispetto alla popolazione generale. E ancora di più, i pazienti diabetici con scompenso cardiaco hanno una mortalità nettamente superiore a quella dei pazienti con scompenso cardiaco ma senza diabete. Inoltre molti farmaci antidiabetici possono indurre scompenso cardiaco, anche farmaci recenti quali gli inibitori della dipeptidil-peptidasi IV (DDP-4)». Sono farmaci che normalizzano la glicemia in maniera sostanziale, e quindi sono stati annunciati come una terapia efficace nella cura del diabete. Però le nuove linee guida della Società Europea di Cardiologia sullo scompenso cardiaco raccomandano un attento trattamento nei soggetti con diabete di tipo 2. «Molti dei farmaci anti-diabete che sono stati utilizzati finora sono gravati dal rischio di peggiorare lo scompenso cardiaco» prosegue Rosano. «In più è d’attualità anche la definizione del controllo glicemico ottimale per i pazienti con diabete e problemi cardiaci. Oggi si tende ad abbassare sempre più il livello della glicemia, azione utile per tenere sotto controllo il diabete ma che può avere ripercussioni negative in caso di scompenso cardiaco, perché il cuore, essendo un muscolo, ha bisogno di assorbire glucosio. In particolare le persone anziane e fragili rischiano di più se la cura anti-diabete provoca bruschi cali del livello di zucchero nel sangue».
Quindi pazienti sempre più spesso anziani, frequentemente con più patologie, non soltanto diabete ma anche insufficienza renale, e quindi che richiedono una gestione complessa. «La stretta collaborazione tra la cardiologia, la nefrologia e la diabetologia rappresenta lo strumento più innovativo ed efficace per curare in modo tempestivo, appropriato e coordinato, i diversi aspetti delle malattie cardiovascolari che possono causare lo scompenso cardiaco. La terapia va concordata tra i diversi specialisti, così come la gestione globale del paziente. Diversi studi hanno confermato che grazie al lavoro di team, la sopravvivenza del paziente con scompenso cardiaco è migliore» conclude Rosano.

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