Diagnosi tempestiva delle infezioni ospedaliere

Un gruppo di esperti italiani ha puntato l’attenzione, nel primo documento di consenso a livello europeo – realizzato con il patrocinio di AMCLI, SIM, SIMPIOS e SIFO – sulle procedure cui vengono sottoposti i pazienti nel percorso di diagnosi dell’infezione identificando le corrette modalità per individuare tempestivamente la sepsi e fornire delle linee guida su come effettuare una adeguata e standardizzata opera di formazione e informazione del personale sanitario coinvolto in questo processo.
«La sepsi è ormai un’emergenza sanitaria, al punto che in un futuro prossimo i morti per sepsi supereranno quelli per patologia neoplastica. Si tratta di una disfunzione d’organo generata da una risposta disregolata dell’ospite ad una infezione – dichiara Bruno Viaggi, Dipartimento di Anestesia, NeuroAnestesia e Rianimazione, Azienda Ospedaliero-Universitaria Careggi, Firenze, Membro del Gruppo Italiano per la Valutazione degli Interventi in Terapia Intensiva (GiViTI), Istituto Mario Negri, Milano. La sepsi è una sindrome tempo-dipendente e se non trattata precocemente può evolvere rapidamente in shock settico che attualmente, nonostante i progressi ottenuti in ambito diagnostico-terapeutico, mantiene una mortalità sempre molto elevata pari a circa il 50% dei casi».

L’emocoltura, ossia l’isolamento e l’identificazione di eventuali microrganismi presenti nel sangue, rappresenta l’esame cardine nella diagnosi di questa infezione. Il documento di consenso punta l’attenzione in particolare sulla corretta esecuzione dell’emocoltura individuando i principali punti critici che riguardano fondamentalmente la disinfezione della cute del paziente, il numero di campioni di sangue prelevati e la tempistica di consegna dei campioni ai laboratori di microbiologia. «L’emocoltura è un esame fondamentale per individuare la presenza di germi e rappresenta il gold standard per impostare una terapia antibiotica mirata. Purtroppo oggi l’esecuzione di questo esame non sempre è eseguito in modo conforme a quanto indicato dalle linee guida commettendo errori anche banali durante tutto il processo della sua esecuzione – precisa Viaggi. Se l’emocoltura non è eseguita correttamente, infatti, può diventare un esame del tutto inutile, vanificando tutto il percorso. Ad esempio, se il campione non viene inviato in laboratorio preferibilmente entro un’ora o al massimo entro 4 ore dal prelievo, il rischio è di avere una mancata positivizzazione del campione anche in presenza di patogeni. Questo conferma quanto sia importante il fattore “tempo” nell’esecuzione di questo esame: solo una diagnosi rapida e tempestiva, infatti, può salvare la vita del paziente».

Numerosi studi condotti in pazienti adulti con batteriemia e fungemia hanno dimostrato che la quantità di sangue che viene prelevato è una discriminante importante per fornire il materiale necessario all’analisi microbiologica e quindi per la buona riuscita dell’esame. «Spiegandolo in parole semplici si può dire che se si preleva una quantità di sangue ridotta diminuisce la sensibilità del sistema diagnostico e quindi non si ottengono risultati attendibili. Ma anche se la quantità di sangue prelevata è eccessiva cambiano gli equilibri di rilevazione rendendo praticamente inutile l’emocoltura. Le linee guida riportate nel documento di consenso raccomandano che vengano riempiti almeno 4 flaconi, anche se in assenza di difficoltà tecniche o di altre problematiche il prelievo di 6 flaconi è da considerarsi ottimale. Troppo spesso, invece, ci si ferma al prelievo di due soli flaconi» commenta Roberto Rigoli, Vicepresidente AMCLI, Direttore Dipartimento di Patologia Clinica, ULSS n.2 Marca Trevigiana.

Il problema non riguarda solo la quantità di sangue prelevato. Anche la microbiologia infatti ribadisce il problema della tempistica. Ancora troppo spesso i campioni prelevati non vengono consegnati nei tempi dovuti ai laboratori di analisi microbiologica, con il rischio di risultati errati perché la crescita di eventuali germi patogeni nel campione si arresta per la mancanza delle adeguate condizioni colturali di crescita. «Perché l’emocoltura dia risultati attendibili, preservando la sicurezza del paziente, è necessaria la consegna immediata dei campioni. Laddove i laboratori di microbiologia non sono aperti 24 ore su 24 e 7 giorni su 7, è necessario predisporre degli incubatori delocalizzati in cui lasciare i campioni appena prelevati in attesa che vengano effettuate le analisi» precisa Rigoli. Altro punto di attenzione non meno importante, come riportato nel documento di consenso, è la corretta disinfezione della cute del paziente e del personale sanitario, fondamentale per evitare che i campioni vengano contaminati da batteri e/o funghi presenti sulla pelle del paziente o sulle mani dell’operatore.

«Eseguire una corretta antisepsi della cute del paziente è necessario affinché i microrganismi presenti sulla pelle non vadano ad inquinare il campione di sangue prelevato. Il documento di consenso indica le modalità corrette per eseguirla come ad esempio la necessità di ricorrere a disinfettanti a base di clorexidina al 2% in alcool 70% e di non toccare il sito di prelievo dopo la disinfezione se non con guanti sterili» – dichiara Gaetano Privitera, Presidente SIMPIOS; Direttore, UOC Igiene ed Epidemiologia Universitaria e Coordinatore Area Funzionale Rischio Clinico, Azienda Ospedaliera-Universitaria Pisana.

Il documento evidenzia che solo seguendo questo processo standardizzato in tutte le sue fasi, è possibile mettere in campo, attraverso il coinvolgimento di tutte le figure professionali (clinici, infermieri, microbiologi, anestesisti, infettivologi), le strategie più adeguate per trattare tempestivamente la sepsi fin dalle prime ore dall’insorgenza. Non solo. Effettuare nel modo corretto il prelievo per emocultura è fondamentale proprio perché consente la rapida e accurata diagnosi, consentendo così al medico di scegliere la corretta terapia antibiotica da somministrare al paziente. Questo è fondamentale per salvare la vita del paziente, ma anche per combattere l’aumento dei batteri resistenti ai farmaci, che negli ultimi anni hanno avuto un aumento esponenziale. «La sepsi nasce ovunque e spesso parte dal territorio. L’ospedale funge da catalizzatore di quanto si genera a partire dal territorio stesso e i reparti di terapia intensiva sono la punta dell’iceberg di tale problematica. Le infezioni nosocomiali, infatti, si differenziano da quelle comunitarie perché sono determinate da patogeni che hanno acquisito pattern di resistenza agli antibiotici sempre più difficili da trattare. Questo perché i pazienti ricoverati in terapia intensiva sono generalmente più fragili rispetto agli altri con un sistema immunitario spesso alterato, il che li rende più suscettibili alle infezioni nosocomiali» conclude Viaggi.

Nel video:

  • Gaetano PRIVITERA
    Coordinatore Area Rischio Clinico – AO Universitaria Pisana Roma
  • Roberto RIGOLI
    Direttore Dipartimento Patologia Clinica – ULSS n.2 Marca Trevigiana Treviso
  • Bruno VIAGGI
    Dipartimento di Anestesia – AO Universitaria Careggi Firenze
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