Italia maglia nera in Europa per la gestione delle malattie reumatiche

Interviste a Giovanni Minisola, Società Italiana di Reumatologia, e Gabriella Voltan, Associazione Nazionale Malati Reumatici

Pensionamento anticipato, disoccupazione ed esclusione sociale, sono queste le conseguenze più comuni a cui vanno incontro in Italia i lavoratori colpiti da malattie reumatiche invalidanti, se non appropriatamente trattati e opportunamente seguiti. Intervenire tempestivamente attraverso una diagnosi precoce e un trattamento appropriato è indispensabile per evitare la perdita dell’autosufficienza, la discontinuità lavorativa, l’abbandono anticipato del posto di lavoro e conseguentemente ridurre i costi sanitari e sociali di queste patologie. Questo il monito lanciato a decisori politici, Associazioni, Società Scientifiche e Parti Sociali dalla coalizione Fit For Work Italia a conclusione di un programma di lavoro interdisciplinare che ha visto impegnati per oltre un anno esperti clinici, economici e rappresentanti politici in un’analisi critica dell’attuale modello di gestione delle patologie muscolo-scheletriche; un modello da considerare decisamente superato e incapace di dare risposte concrete e attuali ai malati reumatici. 
L’importanza della diagnosi precoce in Reumatologia è confermata da un dato drammatico: se si considerano le patologie potenzialmente invalidanti, nel 10% dei casi si registra uno stato di invalidità lavorativa totale e permanente dopo solo 2 anni dall’insorgenza, nel 30% dopo 5 anni e nel 50% dopo 10 anni.


“Ciò significa che la progressione delle malattie reumatiche, se non opportunamente controllata e contrastata, incide pesantemente e in maniera progressiva sulla qualità della vita, sulla frequenza dei ricoveri e sulla produttività – commenta il Professor Giovanni Minisola, Past President della Società Italiana di Reumatologia (SIR) e Direttore della Divisione di Reumatologia dell’Ospedale di Alta Specializzazione “San Camillo” di Roma”. Oggi in Italia le patologie reumatiche muscolo-scheletriche rappresentano la causa più comune di invalidità tra le malattie croniche degenerative ed è davvero sconfortante l’esito del confronto Europeo realizzato da Fit for Work Italia sullo stato di gestione di queste patologie e del loro livello di severità. Prendendo a riferimento, per esempio l’artrite reumatoide, all’Italia spetta la maglia nera: nel nostro Paese il 24,1 % dei pazienti vive in una condizione di disabilità severa contro l’8,7% dell’Irlanda, il 9,5% degli Stati Uniti, il 10% dell’Olanda e il 3.9% della Francia.
“Questo problema è riconducibile in larga misura all’insufficienza delle strutture reumatologiche assistenziali e alla mancanza di una efficiente rete reumatologica di collegamento tra territorio e ospedale, che possa assicurare diagnosi precoci e garantire trattamenti appropriati e tempestivi.”, prosegue il Prof. Minisola.
“Il collegamento tra territorio e grandi Ospedali con vocazione verso modalità assistenziali innovative ed efficaci può essere facilmente realizzato e può dare risultati positivi anche nel breve termine senza costi aggiuntivi – sottolinea il Professor Aldo Morrone, Direttore Generale dell’Azienda Ospedaliera “San Camillo-Forlanini” -. E’ sufficiente definire i percorsi e individuare, tra quelle esistenti, le risorse umane, professionali e strutturali da dedicare all’implementazione di specifici progetti.”
La difficoltà ad attuare una diagnosi precoce per carenza o mancanza della rete assistenziale reumatologica accresce la percentuale di severità di queste patologie e conseguentemente incide fortemente sulla produttività dei lavoratori in ragione dell’assenteismo e del presenteismo passivo: aumentano le giornate perse a causa della malattia e diminuisce la produttività di quei pazienti, che pur essendo funzionalmente compromessi, sono comunque presenti al lavoro.
Queste le premesse che hanno spinto la coalizione FFW Italia ad analizzare, attraverso dati provenienti dal settore previdenziale dell’INPS, l’impatto crescente dei costi sociali e indiretti legati ai disordini muscolo-scheletrici. Dall’analisi emerge come negli ultimi dieci anni circa il 10% del totale delle nuove prestazioni erogate dall’Istituto Nazionale di Previdenza Sociale è riconducibile a domande accolte per assegni di invalidità per le patologie muscolo-scheletriche. Complessivamente, tra il 2001 ed il 2012, gli assegni di invalidità erogati per le malattie delle ossa e degli organi di locomozione sono stati 165.609, un numero inferiore solamente a quello registrato per le patologie legate al sistema circolatorio (318.563) e alle neoplasie (316.706). Inoltre, con riferimento specifico agli assegni di invalidità, si evidenzia una prevalenza molto marcata di persone in età lavorativa, tra i 21 e i 60 anni di età: circa il 75% del totale degli assegni medi erogati. Ancora più significativi i dati relativi alla valorizzazione economica di queste prestazioni: dai 94 milioni di euro spesi nel 2009, l’onere economico a carico dell’INPS è cresciuto di circa il 10%, raggiungendo i 104 milioni di euro nel 2012.
“Tutto questo sembra, quindi, evidenziare con sempre maggiore forza l’impatto che queste patologie hanno in termini di costi indiretti e diretti non sanitari – spiega il Professor Francesco Saverio Mennini, Professore di Economia Sanitaria dell’Università Tor Vergata di Roma e di Economia e Programmazione Sanitaria presso la Facoltà di Scienze Statistiche dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” -. Abbiamo inoltre effettuato una valorizzazione della perdita di produttività relativa ai pazienti affetti da queste patologie. La stima delle giornate di lavoro perse ogni anno a causa di queste patologie è pari a 22.500.000, corrispondenti ad una perdita di produttività di 2.842.440.517 di euro. All’interno delle patologie considerate, Artrite Psoriasica, Spondilite Anchilosante e Artrite Reumatoide, quest’ultima risulta essere quella più disabilitante, con 9.066.503 giorni di lavoro persi e un calo della produttività pari a 1.145.377.593 di euro”.
Se si guarda all’impatto sociale delle malattie reumatiche non si può trascurare il peso dell’assistenza che grava molto spesso quasi totalmente sulle spalle delle famiglie e non solo in termini economici.
“In un contesto di welfare più complesso, infatti, anche le condizioni delle famiglie con assistenza ad un malato cronico si fanno più difficoltose – osserva Gabriella Voltan, Presidente dell’Associazione Nazionale Malati Reumatici (ANMAR) -. Secondo gli ultimi dati Istat, ad occuparsi della cura del paziente è in più della metà (56%) dei casi un solo membro del nucleo familiare, che vi dedica mediamente oltre 5 ore al giorno. Tale situazione, in circa il 93% dei casi, non si concilia con gli orari lavorativi al punto che oltre la metà (53,6%) delle persone segnala licenziamenti, mancati rinnovi o interruzioni del rapporto di lavoro Le famiglie, inoltre, spendono mediamente circa 8.500 euro l’anno per una badante e 3.700 euro per visite, esami o attività riabilitativa a domicilio”.
“Alla luce delle evidenze del tavolo clinico e del tavolo economico di Fit for Work Italia – commenta Tonino Aceti, Coordinatore nazionale del Tribunale dei Diritti del Malato e Responsabile del Coordinamento nazionale delle Associazioni dei Malati Cronici di Cittadinanzattiva – che hanno evidenziato la quotidianità di un paziente-lavoratore tra diagnosi tardiva e accesso difficile alle cure e l’impatto economico e sociale delle malattie reumatiche croniche, risulta necessario definire al più presto un Piano Sanitario nazionale per le Malattie Reumatiche anche attraverso la costituzione di un apposito Tavolo di lavoro presso il Ministero della Salute, oltreché un Piano Sanitario Nazionale sulle cronicità. Trattandosi di un ambito caratterizzato da un ampio numero di patologie, nello spirito della presente iniziativa incentrata sulle dinamiche tra salute e lavoro, il focus di un Piano Sanitario per le Malattie Reumatiche – e relativo Tavolo – potrebbe vertere sul più ristretto ambito delle malattie reumatiche ad andamento invalidante in grado di colpire popolazione in età lavorativa”.
I dati scientifici e le evidenze cliniche ed economiche che il gruppo di esperti Fit for Work Italia ha prodotto sono sufficienti per comprendere la portata, tanto economica quanto socio-sanitaria, delle malattie muscolo-scheletriche che possono essere combattute adottando corrette politiche di prevenzione e strategie terapeutiche moderne ed efficaci.
Intervenire sul problema della workability è pertanto fondamentale per migliorare le condizioni lavorative dei soggetti colpiti, ridurre il numero di pazienti costretti ad abbandonare il proprio lavoro e ad affrontare disagi nella vita socio-relazionale, diminuire il numero delle giornate di lavoro perse, generare risparmio per le imprese e per il Servizio Sanitario Nazionale e attuare in ambito reumatologico una vera spending review.


LE ISTANZE DI FIT FOR WORK ITALIA A ISTITUZIONI, ASSOCIAZIONI, SOCIETÀ SCIENTIFICHE E PARTI SOCIALI
La coalizione Fit for Work Italia, forte degli studi e delle analisi messe a punto, presenta a Istituzioni, Associazioni, Società Scientifiche, Parti Sociali istanze e proposte che, puntando sulla “early prevention” nel trattamento dei disordini muscolo-scheletrici, possano abbattere la difficoltà di accesso al sistema, impedendo così il progredire della malattia, l’aumentare dei costi di cura e di gestione sanitaria, la diminuzione della produttività professionale.

In particolare si chiede:

L’implementazione di Reti Reumatologiche e l’organizzazione di servizi per il recupero e per il mantenimento della workability;
Obbligo di segnalazione del codice nosologico nei certificati di malattia per consentire un corretto inquadramento dell’impatto sulla capacità lavorativa di singole patologie, l’individuazione delle priorità e la definizione della programmazione sanitaria e la misura dei risultati di specifiche politiche di prevenzione nonché l’impatto economico e finanziario;
L’istituzione di un Piano Sanitario per le Malattie Reumatiche, attraverso la costituzione di un apposito Tavolo presso il Ministero della Salute, e la promozione di un approccio di early prevention in occasione del Semestre italiano di Presidenza dell’Unione Europea.

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